Quelli che usano il Pc senza abusarne, amano le amicizie e sono fedeli
Esistono ancora i «ragazzi-dentro»
di ROBERTO CAFISO
Ragazzi-fuori e ragazzi-dentro. Dentro loro stessi, gli altri e la voglia di vivere. Che ancora esiste, ma che, ignorata dai mass media, nell’immaginario collettivo sembra essere diventata una chimera o un ricordo di tempi che furono.
I ragazzi-fuori, i bulli, i drogati, gli alterati del sabato sera o quelli che falciano i pedoni con il loro otto volante trasformato in auto a propulsione etilica, sono a tutt’oggi i più gettonati nei titoli di giornali e telegiornali. Fanno ancora notizia e corroborano la sfiducia nella gioventù che rinfocola il pessimismo verso il futuro.
Sembrano, questi ragazzi, la nuova normalità. Come se ci fossimo persuasi, per induzione mediatica o per le poche ma forti esperienze dirette, che l’universo giovanile sia oramai un corpo sociale cancerogeno, con un’aspettativa di vita limitata. Ma la rassegnazione, si sa, spesso è figlia del disimpegno.
Ignorati o posti all’attenzione in un riquadro, nella stessa pagina dove a caratteri cubitali si parla dell’aumento dei bocciati a scuola, i virtuosi, quelli che hanno preso 100 e lode agli esami di stato. I ragazzi-dentro, appunto. Coloro che investono su loro stessi e sul mondo attraverso un progetto.
Ci sono, ci sono ancora. Assieme a quelli che si laureano una sessione in anticipo rispetto all’ingresso all’università e che, senza essere storpi o esauriti, hanno impostato la loro vita a studiare e a fare cose sane. Quelli che usano il computer senza abusarne, che amano le amicizie ed hanno un partner a cui sono fedeli.
Ragazzi che vanno a letto non tardissimo e si alzano presto perché hanno programmato la propria giornata finalizzandola a raggiungere piccoli obiettivi che concorreranno al fine che si sono dati per sentirsi degni di esistere e di essere utili al prossimo.
Già, ragazzi utili. Che fanno volontariato, che restituiscono i loro doni personali nell’ottica più elevata della solidarietà, che è appunto quella di non lasciare nulla di proficuo dentro di sé, trovando nell’investimento agli altri la massima espressione personale.
Studenti-lavoratori, che vogliono costruirsi un domani senza pretenderlo dai propri genitori o dalla società. Che la sera, per mantenersi, vanno a servire nei tavoli di un bar o di un pub, restando sobri, risparmiando sulla paga, senza eccedere in effetti personali, noncuranti del look e dei trend obbligati che assillano i loro pari.
Ragazzi e ragazze che non amano esagerare, che vanno persino a messa senza essere bacchettoni come a qualcuno piacerebbe pensare per non soccombere al confronto. Ragazzi e ragazze che credono nell’immateriale, che non si genuflettono al piacere immediato, che sanno dire no, per poter essere coerenti con se stessi e fieri delle proprie convinzioni.
Esiste una gioventù così, che raramente salta alla ribalta perché non è la “meglio gioventù”, quella che, oltre la metafora, si concede il lusso di tollerare le proprie debolezze ed accettare senza pena difetti e contraddizioni, non avvertendo alcun bisogno di interrogarsi . Perché essere pieni di limiti è diventata virtù che non comporta alcuna esigenza di miglioramento.
La gioventù pacata, laboriosa, moderata, che sa auto limitarsi sembra un residuato bellico, catacombale. Invece è più diffusa di quanto ci si aspetti e bisogna prenderne atto e misurare “fighetti”, “fricchettoni” e “guasti” con coetanei che non si arrendono alle prime difficoltà, che si spendono e si superano. I modelli sono scomodi sino a quando non si raggiungono e sin quando sembrano utopici si fa di tutto per ridimensionarli o riderci su.
Il disimpegno e l’incapacità impongono agli adepti di ridurre tutto a loro stessi, pur di non porsi problemi. Ed invece tanti ragazzi virtuosi indicano, senza gridare, che si può dare un senso alla vita oltre la noia, compagna cronica e malsana di tante giovani esistenze già sfatte.
Mosche bianche ? Nient’affatto. Bisognerà convincersene. Per primi i genitori che con la scusa della società che va come va hanno alzato le mani, affidandosi al destino e di fatto deresponsabilizzandosi. D’altra parte i migliori non devono essere moltitudine, ma costanti e persuasi interpreti di uno stile di vita proteso a quell’ irrinunciabile mondo migliore di cui si avverte una profonda esigenza.
La Sicilia, 20 luglio 2009
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